I RACCONTI
DEL
NONNO
di Remo R. Fabbri
GIOVINEZZA
La promessa del quarto figlio. La mia giovinezza. Giochi e la scuola
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INTRODUZIONE
Io, Nonno Remo, vi racconto di me stesso, dei miei genitori e di quello che loro stessi hanno raccontato sugli avvenimenti di prima, durante e dopo la mia nascita, per farne un unico lungo racconto, dedicato ai bambini e ragazzi, dalla nascita fino agli 11 anni, alla licenza elementare, della prima guerra mondiale, di sé stessi, della loro famiglia, della mia nascita e della mia infanzia, per ricordare l’amore gli e il modo di vivere che mi hanno lasciato come preziosa eredità.
Vi parlerò di mia madre, dei fratelli, Marrigo detto Rigo, di mia sorella Pasqua, di mio fratello Antonio, detto Tuni, di mio zio Attanasio detto Tenasio, della zia Chirina, sorella maggiore di mio padre e detta Ciarina, di nonna Caterina e di Filiberto Rebotti e del maestro Romolo.
LA FINE DELLA GUERRA
Vi parlo di mio padre, che nato nel 1880, diplomato maestro maniscalco con rudimenti di veterinaria nel 1900 alla scuola di mascalcia di Pinerolo.
L’ambiguità della forma di questo titolo ha indotto i burocrati ad interpretarla come se egli fosse un funzionario dello Stato da reclutare ogni qualvolta è utile o necessario, con il suo grado e relativo stipendio, oppure in licenza quando agiva da uomo libero.
GIOVINEZZA
Bepe Frar, maniscalco di Stato, 1914
Io, Bepe Frar, due mesi prima della guerra, sono stato reclutato come maniscalco di stato col grado di maresciallo ed inviato al reparto di assistenza animali, nelle retrovie dell’esercito. Là vi ho trovato molti bravi maniscalchi senza preparazione scolastica che avevano imparato il mestiere da chi li aveva preceduti, oppure nelle botteghe di tutta Italia.
Li comandava un capitano veterinario con il quale ho allacciato buoni rapporti. Non avevo niente da insegnare, ma solo consigli per correggere i difetti che i cavalli hanno nel cammino, nel trotto e nel galoppo. Molti animali avevano bisogno della nostra assistenza, ogni due/tre mesi arrivava un’animale malconcio o ferito, destinato ad essere macellato.
La macellazione avveniva in reparto e la carne venduta fra noi a basso prezzo. Io ne acquistavo 25/30 kg che caricavo nel bagagliaio della mia bicicletta e dopo il tramonto mi avviavo per 200 kilometri fino a casa. Consegnato il materiale e una parte del mio stipendio e subito ripartivo per essere al reparto prima dell’alba.
Nell’ottobre del 1917 avviene la disastrosa sconfitta di Caporetto che porta gli austriaci fin oltre il Piave. Viene deposto il Generale Cadorna corresponsabile della tragedia e odiato da tutti, perché era l’uomo che ordinava l’assalto alle trincee nemiche sotto il fuoco incrociato delle mitraglie austriache, che ordinava la decimazione di chi si ritirava dal fronte, che ordinava la fucilazione di chi ritirava senza le armi.
È stato nominato comandante il Generale Diaz, tutt’altro uomo, che con i ragazzi del ’99 e dell’aiuto di francesi ed americani ha ricacciato gli austriaci su per il Veneto fino al loro paese e che con la battaglia di Vittorio Veneto ha vinto e terminato la guerra. Noi del reparto assistenza animali, siamo stati trattenuti per qualche mese in più per la vendita degli animali in esubero e per continuare la macellazione quelli non recuperabili.
1919 La fine della Guerra
Il giorno prima di essere congedati, i richiamati hanno raccolto in fretta le loro cose e preparati per patire presto verso casa. Io invece ho fatto tutto con calma e ho acquistato una coscia di una gamba posteriore con cuffia di carne di una cavalla di grossa taglia, macellata il giorno precedente per causa della rottura di un ginocchio, mi son fatto radere per presentarmi meglio a casa.
Al mattino ho caricato la coscia nel bagagliaio della bicicletta e con calma sono partito verso casa in piena luce e col sole, ho attraversato i paesi che di notte non avevo visto, pedalavo lento per arrivare a casa dopo che siano finite le faccende del mattino.
Io Maria, moglie di Bepe Frar
Io Maria, moglie di Bepe Frar, sono rimasta sola per tutti i quattro e più anni della guerra, incapace di accettare che lo Stato me lo abbia sottratto per la sbagliata interpretazione del suo titolo di maniscalco.
Ho governato la famiglia con l’aiuto di mio fratello Tenasio e di Romolo, ho cresciuto e mandato a scuola i figli, ho utilizzato al meglio tutto quello che mi inviava mio marito. Ho mantenuto in ordine la casa e la bottega, ho ordinato a Romolo di allestire il bagno con telone e tinozza in un angolo della cameraccia.
Ho curato e coltivato l’orto per trarne verdura e frutta, mantenuto pulito il pollaio ed il cesso ed in ordine la concimaia, comprato granaglia per i polli, raccolta e comprata legna per il focolare e per scaldare, ho procurato ed acquistato quello che serve per preparare da mangiare alla famiglia ed ai parenti che spesso ci facevano visita.
Si diceva che sono stata brava. Si, sono stata molto brava, ma lo sarei stata di più se avessi avuto mio marito, ma egli non c’era perché’ sottratto dallo Stato.
Ndr: In questo periodo la bottega di fabbro era chiusa, i fratelli di Remo erano troppo giovani, anche Tenasio era ancora giovane. Quindi si cercava di sopravvivere. La famiglia era già a Bergantino, per averla acquistata intorno al 1908.
Allora, io donna, moglie e madre, mi sono chiesta se lo Stato ha il diritto di richiamare in servizio chi ha già assolto il servizio di leva, e che ha moglie e figli, un’attività avviata e forti impegni che da più anni ha superato l’età di chi normalmente è chiamato per il servizio militare.
Ed ancora chiedo allo Stato, la ragione di questa inutile strage, come l’ha chiamata Papa Benedetto XV, per conquistare due lembi di terra, che ai cittadini sono costati cento volte in più di quanto li avrebbero pagati in oro.
Io Maria, amo Dio, la mia famiglia, mio marito, i miei figli, tutti quelli che mi sono vicini, il mio prossimo quando veramente lo è, ma non amo voi burocrati e voi dello Stato, perché con i vostri errori mi avete lasciata sola.
[Ndr: nessun altro della sua età era partito per le armi, molti giovani, forse una quarantina, ma nessuno della sua età. Alla fine ne sono tornati più di metà. Per esempio, Filiberto Rebotti aveva tre figli maschi, due ne partirono in guerra ed entrambi morirono.]
Adesso, sola e forzata a governare la mia famiglia, con l’aiuto di Romolo, di mio fratello ‘Tenasio e mio figlio Rigo, mando a scuola i figli Pasqua e Toni, curo la casa, la bottega e il cortile, coltivo l’orto per ricavane la migliore verdura e la frutta, tengo pulito il pollaio e il cesso e in ordine la concimaia; ho suggerito a Romolo di allestire in un angolo della cameraccia, un bagno con telone e tinozza.
Ritorno a casa
Adesso, dopo aver fatto tutto questo lavoro ed aver lasciato passare tanto tempo, io Romolo e Filiberto, siamo seduti sul marciapiede di casa perché sappiamo, come è stato pubblicato, che Bepe è stato congedato ieri e che è partito per venire a casa. Io sono inquieta perché vorrei saperne di più, quando è partito? quando arriva?
Suppongo che sia partito il mattino presto e che venga lento, dovrebbe arrivare fra le 9 e le 11, ma da dove arriva? da via Giovecca o via Vaccara? Io e gli amici eravamo sul marciapiede fin dalle 8 e mezzo, quando si aspetta il tempo non passa mai, contavo i minuti che sono lunghi più delle ore.
Finalmente una voce dall’alto grida, Bepe Frar e sull’argine e pedala verso casa. Subito, io e Filiberto siamo andati fin sotto la discesa dell’argine e della piazza e ci siamo posti all’inizio della via Vaccara. Dopo meno di 5 minuti ecco che giunge Bepe Frar, egli arriva a gambe aperte e freni in mano e si ferma davanti a noi. Filiberto prende la bicicletta, la porta in cameraccia e torna da Romolo. Bepe e Maria si abbraccino e si baciano, lei piange per la gioia e lui grida per la felicità, mentre Romolo e Filiberto li incitano ad accrescere le loro effusioni, ma lei si trattiene per evitare amichevoli piccanti battute.
Marito e moglie, mano nella mano, scesero la via Vaccara fino davanti casa, qui, Romolo e Filiberto abbracciarono Bepe, gli diedero il ben tornato, e gli aprirono la porta. Bepe è entrato seguito da loro e da Maria, ha guardato in giro e ha chiesto – non c’è nessuno?
No, rispose Romolo, i bambini sono a scuola, Rigo dal prete per il pallone, Tenasio è militare [ndr: lo avevano appena chiamato, dopo la guerra, lui era del 900. Il servizio militare durava due anni in quel tempo.]
Gualtiero [Ndr: uno dei più giovani fratelli della seconda covata dei verdolini, quindi fratello di Maria] è alla fornace [ndr: in Ostiglia, fornace che fanno i mattoni], ed Amedeo è convalescente da tua sorella Ciarina è tornata a casa sua.
Allora che faccio? puoi fare il bagno, esso è pronto con acqua calda. Si, ha detto Maria, non sono ancora le 11, fai il bagno e dopo vai a letto finito il bagno, egli ha messo le mutande ed è salito in camera con Maria, ha indossato la camicia da notte, si è coricato e ha dormito profondo.
Filiberto, intanto, ha scuoiato e disossato la coscia di cavallo e ne ha tagliato la carne in pezzi più o meno gradi e in numero pari all’elenco dei poveri tenuto dal messo del comune. [ndr: In quel periodo una commissione comunale teneva una lista di famiglie povere che avevano difficoltà economiche, molte famiglie destinavano quanto potevano a queste famiglie].
Alle due del pomeriggio hanno bussato alla porta, era Romolo che avvertiva che alle tre del pomeriggio si va a tavola, Maria sveglia Bepe per preparargli i vestiti in modo adeguato alla festa che Romolo ha preparando per il ritorno a casa. alle tre precise, Romolo ci fa scendere in sala tinello dove già c’erano tutti gli invitati, ognuno in piedi davanti al loro posto a sedere, Befe a capotavola e Maria alla sua destra. Nonna Caterina rimane in cucina.
[Ndr. Tinbello: era la sala maggiore, riservata, nobile, ben verniciata di colore grigio ed azzurro, con il riscaldamento a muro, che chiamavano Franklin, il muro era tagliato a metà, il focolaio, sempre con il fuoco a legna, una specie di stufa a muro, in Inghilterra era normalissimo, non c’era in tutte le case, era una cosa esclusiva, credo che fosse l’unico in tutto il paese, a parte le famiglie nobili, non le ho mai viste nelle altre case, funzionava benissimo per riscaldare la stanza. Il caldo come lo intendiamo noi, non ce lo sognavamo neanche, serviva per rompere il freddo.][Ndr. Nonna Caterina: la mamma di Bepe, che ormai aveva 80 anni, lei aveva seguito il figlio più giovane quando era venuto a Bergantino. Il suo lavoro principale era parlare con la gente e raccontare di tempi passati.]
Sulla tavola una tovaglia e tovaglioli bianchi. Un piatto liscio e uno fondo, posate ottone lucidato, un bicchiere in vetro ed al centro un fiasco di vino nostrano, una caraffa di acqua del pozzo, l’oliera con olio, aceto, sale e pepe. La formaggiera con formaggio grattugiato. Romolo presenta: primo piatto, tagliatelle all’uovo in bodo di cappone, secondo piatto, stracotto di cavallo con insalata verde, patate lesse al prezzemolo e formaggio. Io dò l’assenso per queste buone cose e subito arriva Filiberto con la zuppiera strapiena accompagnato da sua nuora Bice con il mestolo.
Bice ritira il mio piatto fondo, Filiberto ci mette una presa di tagliatelle e lei un mestolo di brodo e me lo ripone: la stessa operazione è ripetuta per il piatto fondo di ciascun commensale: tutti fiutato il profumo di questa minestra e vorrebbero gustarne subito il sapore: sono tutti con la forchetta in mano.
Ma a capotavola ci sono io, e mi diverto a tenere sulla corda questi vogliosi fino a quando cominciano a rumoreggiare ed a battere il cucchiaio sul bicchiere…io alzo la forchetta e tutto tace, si sente il rumore delle posate e le esclamazioni di piacere: c’è chi raddoppia e tripla fino a quando nella zuppiera rimane solo una goccia di brodo.
Arriva il secondo che viene consumato lentamente mentre cominciano i commenti e i pensamenti sulla bontà dei cibi mangiati e sulla bravura di Romolo nell’organizzare la festa, e sulla competenza di Filiberto e nuora nel distribuire i cibi; Romolo invita tutti a lasciare la tavola ed uscire in cortile a parlare, discutere e dialogare; alle sei dovete essere qui perché ho una cosa importante cosa da riferirvi.
La promessa da mantenere
Alle sei sono ancora tutti a tavola e su questa un tovagliolo con piattini e forchetta per ogni commensale: in mezzo alla tavola una bottiglia di vino bianco secco ed una di vino rosso dolce ed un vassoio con ciambella affettata; tutti se ne servono e Romolo dice: Due anni fa, in circostanze simili, i coniugi Maria e Bepe Frar hanno detto che se la guerra finisce senza avere provocato danni alla propria famiglia, per ringraziare il Signore, avrebbero generato un quarto figlio: Si, interviene Maria, io e mio marito abbiamo preso questo impegno e con l’aiuto del Signore vogliamo mantenerlo: Se Dio ci assiste nel gennaio del prossimo anno nascerà il nostro quarto figlio.
Tutti hanno applaudito, si sono abbracciati per la gioia, hanno cantato, ballato e bevuto fino a tarda sera, stanchi e mezzo ubriachi si sono ritirati. Bepe e Maria, in disparte e felici hanno goduto di questa manifestazione di affetto e fatta notte sono saliti in camera, hanno pregato e si sono coricati.
Filiberto Rebotti
Chi era Filiberto Rebotti? Egli era amico della nostra famiglia fin da quando, nel 1908, i miei genitori con Rigo e Pasqua, si sono trasferiti da Melara a Bergantino. Egli è nato verso i primi anni del 1860, è sposato con Rosina, donna buona e silenziosa, ha avuto tre figli maschi di cui due morti in guerra, di cui il maggiore ha lasciato la vedova Bice con due figlioli, una figlia colpita da encefalite ed un’altra dell’età di mia sorella Pasqua. Il terzo figlio maschio era costruttore di biroccine-calessi molto belli, ha sposato una donna grossolana zotica ed insopportabile. Filiberto trovava più conforto nella nostra che nella sua famiglia.
Il maestro Romolo
Chi era Romolo? Di lui vi dico quello che ho sentito dire. Nel 1882 in territorio di Catanzaro è stato trovato un cesto con un bimbo abbandonato, con un biglietto che diceva: Si chiama Romolo, è stato battezzato e ha sei mesi; è stato portato al parroco del paese il quale lo ha inviato all’orfanotrofio di Catanzaro.
Qui è stato allevato e istruito fino a 11 anni con licenza di 5*elementare; trasferito in collegio ha studiato e a vent’anni si è diplomato maestro; uscito dal collegio ha cercato un appoggio nelle famiglie del paese dove nel cesto è stato trovato, ma per diffidenza nessuno lo ha accolto; il parroco lo ha consigliato di cecarsi al nord ed eccolo a Bergantino ad insegnare e guadagnarsi la stima di tutti, gli è stato consigliato di appoggiarsi alla famiglia Fabbri ed egli nel 1909 chiese ai miei genitori essere accolto come dozzinante, essi lo accolsero con benevolenza ed affetto e messo a tavola: per l’accoglienza ricevuta si è sentito parte della famiglia e amico di tutti.
SI è ammalato ma lo ha tenuto nascosto per non farlo pesare, ma con gli ultimi lavori, la malattia si è aggravata. A dicembre si sentì vicino alla morte e ha chiesto a Bepe e Maria se al nascituro maschio, volessero dare, a suo ricordo, il suo stesso suo nome; essi acconsentirono e lo promisero; la mattina del 1919 è morto.
Il dolore per la perdita di quest’uomo, nobile e generoso, fratello di tutti i miei famigliari e di chi mi ha preceduto, è stato mitigato dall’attesa della mia nascita e che avrei portato il suo nome. Al funerale ha partecipato moltissima gente ed è seppellito nell’angolo di sinistra dirimpetto alla tomba di Strozzi.
La nascita
Adesso, io Nonno Remo vi racconto della mia nascita dei fatti avvenuti 100 e più anni fa e dei quali so quello che ho sentito dire o che ho dovuto inventare. La gravidanza di mia madre è cominciata nel 1919, i miei genitori hanno assolto alla promessa al Signore di generare il quarto figlio per non avere avuto danni di guerra.
Nel primo pomeriggio del 24 gennaio 1920 mia madre ha avvertito i sintomi del prossimo evento; la gravidanza non ha dato nessun problema e alle ore 16 senza nessun intoppo sono nato io, il quarto figlio.
Mio padre aveva preparato tutto, ha inviato Pasqua, Toni dalla zia Rosina sua sorella; torneranno a casa dopo la mia nascita, ha sorella Chiarina e la comare-ostetrica Landerghini: il parto è stato rapido con i normali dolori del parto: appena nato, io ho cominciato a gridare e urlare a piena voce continuato a gridare anche quando l’ostetrica mi recideva l’ombelico, mi lavava e fasciava, ho smesso di gridare solo quando mi hanno messo vicino a mia madre, ho fiutato l’odore, era lo stesso di quando ero nel suo grembo.
Mia madre mi ha offerto il seno ed io ho subito cercato il capezzolo e mi sono nutrito e sono preso dal sonno: la mamma ha chiamato la zia Chiarina e gli detto: prendi il bambino e lo tieni sveglio e lo corichi; i bambini e i ragazzi devono dormire nel proprio letto e coricati completamente svegli perché essi lo devono sapere; lo sveglierai alle 6 del mattino. Lo pulirai, lo cambierai e me lo ripoterai nel lettone fra me e suo padre: da domani queste incombenze le faccio io con l’assistenza di papà.
A questo nostro quarto figlio, noi genitori dobbiamo una assistenza maggiore e diversa a quella dedicata ai suoi fratelli perché egli è il frutto di un voto al Signore e per questo elaboreremo un calendario delle cose da fare dalla sua nascita sino alla licenza della 5^ elementare e che sia valido per tutte le stagioni per l’allevamento, nutrimento, educazione ed insegnamento.
Il mio vero nome
Tutte le mattine, due ore prima che noi genitori ci si alzi per il lavoro, io, mamma, lavo, pulisco e vesto il bimbo e ce lo portò nel lettone; quando sarà grande ci verrà in camicia da notte fino alla età di 9 anni per imparare tutto quello che possiamo insegnarli.
Il lunedì della seguente settimana della mi nascita mio padre con due clienti come testimoni si è recato alla anagrafe per denunciare la mia nascita: egli si chiamerà Romolo ed è nato il ….e gli sorse il dubbio? Era giovedì 24 febbraio, oppure il 23? neppure i testimoni sapevano; l’addetto alla anagrafe ha scritto 23.
Tornato a casa, mia madre era contenta che si fosse ricordato del nome Romolo e triste perché abbia indotto a scrivere un falso.
A suo parere il nome Romolo era troppo lungo per un cosino così piccolo e quando è arrivato don Schibuola mia madre con famigliari, il padrino Curzio Rebotti, Il barbiere di papa e dei benestanti, la madrina Alba Cova la bella ragazza del momento, mi ha portato al battesimo: la cerimonia è stata lunga perché don Giuseppe Schibuola ha voluto farla bene: alla iscrizione mia madre è stata rapida: è Remo Fabbri ed è nato il 24 gennaio 1920.
Da questi due diversi nomi consegue che io sono Romolo nei rapporti ufficiali, e quando è dubbia la mia identificazione, e Remo in famiglia e amici. Sempre io sono stato chiamato Remo in casa, a scuola: ho saputo di chiamarmi anche Romolo quando mi hanno chiamato a militare.
Da bimbo
Quando alle sei della prima mattina dopo la nascita la zia Charina mi pose nel lettone, mamma e papà, essi hanno pianto per la gioia quel piccolo cosino era il frutto del loro amore e della promessa all’Eterno Padre.
Il bimbo, invece non ha dato nessun segno di sentirsi amato, l’unica manifestazione è stata quella di fiutare la pelle della mamma che è lo stesso di quando gli era in grembo: quando la madre gli ha accostato il seno, egli ha cercato il capezzolo e ne ha succhiato il latte.
Questo comportamento istintivo è motivo per l’immensa gioia mamma e di papa. Nei giorni seguenti è la mamma che lo toglie dalla culla, lo pulisce lo asciuga, lo riveste senza le fasce ma con le braghette e lo porta nel lettone fra mamma e papà.
Le carezze, il contatto di pelle, i baci, ed il parlagli recano al bimbo la gioia di essere nato. Mamma e papà continuano a parlagli ma egli non sente perché l’udito non si è ancora evoluto e ci vogliono settimane perché si evolva a sufficienza per sentire.
La mamma lo nutre molte volte al giorno e nelle ore come lo ha abitua to: egli è cresciuto in statura, peso e vigore: alle otto, quando ci si alza, non lo si depone più nella culla ma nel lettino. Se lo si pone per dormire, prima di coricarlo, lo si sveglia completamente per due minuti in modo che egli sappia che lo corichi per dormire.
Ora che bimbo sa distinguere la voce dei genitori, egli ascolta colui che gli sta parlando, non capisce ciò che gli si dice ma basta per mettersi a giocare; metterti il ditino nel naso, i piedini in bocca e forse ne prova piacere: si, dice papà, impossibile, risponde la mamma, ci vogliono più giorni perché cominci ad udire.
È ancora inverno ed è esultante che il bimbo alle sei del mattino sia solo nel lettone i genitori sono andati alla messa in suffragio del povero Romolo; ed egli gode quel tepore intriso degli odori di mamma e papà, alle otto è rimesso a letto, Fra carezze, coccole e poppate passa il tempo, e il bambino cresce agile forte anche se rimane mingherlino. È primavera. Mamma e papà alle 6/7 sono già al lavoro e verso le otto, Pasqua lo toglie dal lettone e lo porta in cucina sul tappeto: egli si rotola, si gira si siede e canta.
Il papà gli fa prendere una razione di Emulsione Scott (olio di fegato di merluzzo) mia madre, oltre a nutrirmi con pappine di farina tostata e latte della stessa mucca, intende allattarmi fino a oltre i 18 mesi per trasferirmi gli anticorpi per rendermi immune dalle malattie infantili e dall’influenza.
A sei mesi, il bambino si arrampica alle gambe delle sedie, si mette in piedi, passa da una sedia all’altra, cade e si rialza e farfuglia le poche parole che ha imparato.
A otto mesi, verso le due del pomeriggio, tutta la famiglia, è sulla strada ad aspettare il papà che è andato da Curzio a farsi radere; ed ecco che papà arriva. È a circa 20 mt: il bimbo si stacca dalla madre e dritto con passo sicuro si dirige verso il padre al grido di, <PAPA”>: il padre, con le lacrime agli occhi per la gioia, lo ha preso in braccio, lo porta in casa, lo pone sul seggiolone e lo mette al suo posto a tavola alla sua sinistra, tutti i famigliari sbigottiti ed esterrefatti dalla prova hanno gridato: sei grande piccolo uomo.
Alla età di un anno, io Remo, ho cominciato a camminare e parlare con quelle poche parole imparate senza conoscerne il significato; in casa ed il cortile borboglio qualche suono.
Verso i due anni, sono un condensato di energia, sorbo una razione di Emulsione Scott (olio di fegato di merluzzo), che sorbirò tutti i giorni fino alla pubertà; Mangio a tavola cibi semisecchi corro, salto grido, parlo ben le parole imparate, e gusto il piacere delle coccole, e l’amorevole calore fra mamma e papà.
Sono curioso e pongo a tutti tante domande sul nome delle cose e mi danno tante risposte che diventano un esercizio per impostare ed articolare i suoni dell’apparato vocale. Fra la fine del secondo anno e l’inizio del terzo
Alla memoria segue il senno, la logica e la ragione, mi si sono formati tra la fine del secondo anno mente è il luogo per la conservazione di queste cose ne chiedevo il parere ai miei genitori, quando alle sei del mattino, salivo fra di loro nel lettone per ricevere i loro insegnamento; papà mi ha detto: È quel prodigioso avvenimento che trasforma il Bambino in una persona consapevole di sé.
Ora tu sai chi sei e perché ci sei. Ora puoi e devi imparare parole adatte al dialogo per imparane molte di più chiedere non è una curiosità ma mezzo per conseguire conoscenza; continua a chiedere senza importunare e tranne la conoscenza di tante parole dialettali, del loro valore, nome, significato e pronuncia.
Arriva la Befana
È il giorno in cui i Magi, i Sapienti, che guidati dalla stella, sono venuti dall’Oriente a rendere omaggio ed a portar doni a Gesù bambino che oggi si manifesta.
Ed è pure la festa profana della Befana, la “vecia” che porta i doni ai bambini buoni e obbedienti e i carboni a quelli che non lo sono. Quando io ero bambino, la mia Befana non era quella brutta e arcigna, che a cavallo della scopa, volava di casa in casa a portare i carboni della sua sacca. No!! La mia Befana era come una bella fata senza età, come la grande mamma di tutti i bimbi, che porta in dono solo cose buone.
Ero ingenuo e poco più che infante, quando i miei genitori mi dissero che bisognava aiutare la Befana nel suo duro lavoro, e dare ospitalità al suo somarello tanto stanco, io ci credevo fermamente nella Befana, e ci ho creduto per molti anni sino alla pubertà. Oh com’era bello crederci anche se anch’io sapevo che quella che tutti chiamavano Befana erano i nostri genitori, oh come mi piaceva credere, oh come mi piacerebbe ancora credere nella Befana, ora che da vecchio sono ridiventato bambino.
Avevo meno di sei anni, ed era la sera precedente l’Epifania, io ero certo che come i Magi sarebbero arrivati a portar i doni a Gesù Bambino, anche la Befana con il suo somarello, stracarico di doni, sarebbero arrivati da chissà-dove dopo aver tanto e tanto camminato. Il somarello sarebbe sicuramente arrivato stanco e affamato, ed è per questo che io, come mi aveva insegnato mio padre, e come ho sempre fatto prima e come farò dopo, ho lasciato semi-aperto il portone del cortile, procurato una bracciata di fieno, una bacinella piena d’acqua e tanta paglia per farne una lettiera, cosicché il somarello avrebbe mangiato, bevuto e riposato mentre la sua padrona, la Befana, portava i suoi don ai bambini di tutto il paese.
Si, la Befana è arrivata!! Me lo confermerà mio padre che a notte alta è andato a controllare. Il fieno non c’era più, dell’acqua un sorso, la paglia stropicciata e, a maggior conferma, alcuni stronzetti profumati del somarello che ha mangiato e digerito.
Io ero sicuro che la Befana sarebbe arrivata, ma sapevo anche che essa era povera come tutti erano ancora poveri in quel tempo. Povero era l’oltre Po Ferrarese e misero era il resto del Polesine. Anche a Bergantino, benché fosse il paese meno povero, non vi era da scialare. Solo da poco era guarito dalle ferite infierite dalla Grande Guerra, dalla Spagnolo ed Encefalite, ed ora dall’infierire di Tifo, Tubercolosi tante malattie. Molti genitori non hanno potuto dunque accordarsi con la Befana la quale ha dovuto caricare il somarello di calze vuote.
Non così per me. Io avevo sentito mamma e papà confabulare fra di loro per accordarsi con la Befana per cui la mia calza me lo avrebbe portata piena, ma non in camera, ma nella stanza dei miei genitori. Per tutta la notte ho dormito con un occhio solo, ansioso che arrivasse l’alba per sgattaiolare fino alla grande stanza, ma non ho visto calza. Mi sono impensierito ma, come mi hanno insegnato i miei genitori, di fronte a qualsiasi evenienza, non ho perso la calma.
La luce dell’aurora ha cominciato a baluginare ed io ho visto. La calza era la in alto, appesa alla pertica dei salami. Mi ci feci sotto e cominciai a spiccare salti, io ero scarno e magrolino, ma ero un condensato di energia, ed i miei salti erano sempre più alti ma mai a sufficienza per abbrancare l’agognata calza. È arrivato l’affanno, ho smesso di saltare, e mentre ansavo ho visto la calza scendere lentamente. Ho atteso che fosse a portata di salto, mi sono gonfiato il petto e via, ma mentre io ho spiccato il volo, la calza è salita, quindi essa è ridiscesa ed io ho rispiccato. Il giochetto si è ripetuto una, due, tre e più volte fin quando mamma e papa si sono abbastanza divertiti e la calza è scesa fino davanti a me. Con il mio trofeo, con il fiato grosso e pieno di gioia sono salito sul lettone fino ai miei genitori, che felici, mi hanno accolto fra di loro.
Ancora ansimante, fra mamma e papà, con la calza piena ben stretta al petto, aspettavo che l’uno o l’altra mi dicesse che potevo aprirla. Intanto la mamma mi diceva: io e papà ti abbiamo guardato mentre, con tutta la tua energia e volontà, saltavi per arrivare alla tua calza. Ti abbiamo guardato quando, caparbio, hai continuato a saltare anche quando hai capito che non potevi arrivarci. Tu, bambino, non sei cucciolo solo di mamma e papà ma sei cucciolo anche dei tuoi fratelli che ti ricoprono di coccole, ed è per questo che tu credi che possa ottenere, con la forza, quello che ti spetta. No, bambino, tu devi imparare a conoscere i tuoi limiti, ad usare l’energia per i giusti scopi e la mente al posto della forza.
A sermoncello finito, papà, ansioso quanto me, mi ha fatto cenno di aprire la calza, ma la mamma, intervenuta, ci ha fatto sedere con le gambe sotto le coperte, anche papà è stato al gioco, si è seduto. La mamma ha porso il norge a papà, mi ha fatto indossare la maglia di lana rossa da lei fatta per il regalo di Natale, si è messa lo scialle nero sulle spalle e, preso il togliere, lo ha posto sulle coperte innanzi a me, mi ha guardato e con gran sorriso ha detto: apri!!
Tutte queste cose, la mamma aveva preparato per fare in modo che questa mia Befana fosse per me, una cerimonia, un rito. Intanto che io toglievo i legacci alla calza, lei mi diceva: tu bambino sei nato nel giusto tempo, quando noi…(un mio grido di gioia l’ha interrotta) …una bilancina di ottone lucido, con tutti i suoi pesini, era uscita dalla calza, che bellezza, una cosa mai vista, chissà dove la Befana ha trovato questa bella bilancina?? Forse in quello stesso lontano paese dove papà, ogni mese, va comprare le sue cose.
La mamma riprese a dire: quando noi genitori siamo stati capaci di dire alla Befana di portarti la calza piena, ricordati che per tanti altri bambini come te, la calza è rimasta vuota. Anche ai tuoi fratelli, la Befana…No!! S’interruppe, Non così, le cose che togli dalla calza, le devi mettere sul tagliere, allineate e distinte per genere ed importanza, tu sai che a papà piace l’ordine e la precisione, ti dicevo che ai tuoi fratelli, la Befana non ha mai portato doni, erano tempi duri, la povertà era grande, la guerra e le malattie ci tormentavano e la Befana era misera.
Per te, bambino, ha continuato la mamma, questa Befana è ancora povera, essa, in avvenire sarà sempre più ricca, ma questa resterà la più bella e sarà quella che ricorderai per tutta la vita e che, quando sarai grande, racconterai ai tuoi figli e nipoti. Il papà, estasiato, continuava a guardarmi, e per la prima volta, mi ha dato un bacio.
Molte cose le avevo già tolte dalla calza e ben disposte sul tagliere ma in fondo, separate, ne rimanevano altre. La mamma, accortasi della mia titubanza, ha detto: le cose rimaste nella calza… la Befana le ha messe per i tuoi compagni, domani, quando vai a scuola, ti dirà come devi fare. Papà ascoltava, mi guardava e annuiva, mentre io riordinavo le mie cose.
Sopra, davanti, la bilancina in ottone con i suoi pesini, sotto, il liea, due caramelle, una rossa e l’altra verde, più sotto, allineati, due mandarini e sei noci, quindi, sempre in linea, sei prugne e quattro fichi secchi, più sotto, biscotti uguali a quelli che sa fare mia sorella e dieci bagigge sparpagliate, infine, davanti a me, sei cubetti di colore giallo-oro-lucido, sulle cui sei facce, vi erano impronte rosse e verdi.
Quanto sono belli quei cubetti e, certo, sono squisiti: chissà dove la Befana li ha trovati? Forse da uno specialista di dolciumi con la testa quadra, papà mi guardava ed io con un cenno ho chiesto e lui: SI! Mangiane uno!, Ma la mamma riprese a dirmi: Papà ti fatto frequentare la scuola un anno prima del tuo tempo perché tu conosca la disciplina, perché tu faccia amicizia con i tuoi compagni di classe e con loro giocare. Io ti dico che loro sono più grandi di te e che tu devi essere rispettoso con loro senza nessuna distinzione. Non vantarti se tu hai le scarpe e loro gli zoccoli, se il tuo vestito è lindo ed il loro rattoppato, se la mamma ti ha lavato e pulito faccia, orecchie e mani, qualcuno di loro, la mamma, non ce l’hanno più. Alla Maestra devi rispetto e obbedienza, ella è l’autorità e rappresenta le istituzioni.
Disciplina, rispetto, obbedienza, autorità e istituzioni, ho detto io in tono di domanda? Papà ti spiegherà il loro significato, disse la mamma, e mentre papà cominciava… la disciplina è l’insieme di regole.., io, che più volte avevo ingoiato l’acquolina, presi un cubetto e lo misi in bocca.
Subito, il sapore dolce delle impronte, dopo un sapere diverso che non mi era nuovo, assaporai ancora e dissi: è polenta! Papà scoppio in una gioiosa risata, io, in quel momento ho capito e, ricordando ciò che la mamma mi aveva detto per gli scherzi intelligenti, invece di sputarlo l’ho ingoiato intero. Poi, guardando papà, diventato paonazzo, uno per volta, me li sono mangiati tutti.
Papa mi ha abbracciato e baciato ed e riuscì a dire: di te, bambino, ne farò un uomo!
A scuola come auditore
E continuerai a giocare con Ottorino per tutta l’estate; saltare, salire su e giù per fienile e nel bottegone, nel mio cortile a costruire macchine portentose con i rottami di ferro di papà. Arriva il tempo di andare alla 1^ elementare. No, bambino, tu i sei anni li compirai in gennaio. In gennaio, mentre ci vanno Ottorino e Balilla e tutti i bambini che compiono i sei anni in questo anno; è triste quello che mi dici, mamma Sii Contento invece, perché papà ha ottenuto che tu possa frequentare la scuola come uditore, cioè colui che ode e ascolta alla 1^ elementare.
Tu frequenterai, ascolterai la lezione del Maestro anche se egli non si cura di te, per lui è come se in classe non ci fossi. Che bella cosa ha ottenuto mio padre per me: imparerò molte cose, la disciplina, l’ordine, lo stare silenzioso nel mio angolo, non disturberò, non parlerò, non risponderò a chi mi chiede; è un sacrificio, ma è ciò che devi imparare sacrificio, me ciò che devi imparare, perchè la vita è sacrificio e fatica.
Durante la ricreazione, potrai giocare, correre e saltare come gli altri nel gioco e rientrati in classe, il maestro ha insegnato ad impugnare il portapenne, ad infilare il pennino, ad intingerlo nel calamaio e tracciare righe nel quaderno a quadretti.
Due giorni dopo mentre i ragazzi facevano le aste, è venuto don Giuseppe Schibuola e ha detto: Ragazzi, voi avete sei anni. Giusta l’età della CRESIMA.
Per tre trimestri ho fatto l’uditore a scuola, ho frequentato il catechismo ho imparato tante cose per cui dopo le vacanze sarò pronto a presentarmi alla mia m …. ma consapevole che i ragazzi sono tutti più grandi di te e che a tutti devi rispetto senza soggezione e senza supponenza, cose che tu hai quando sei andato a conoscere i bambini del vicinato. Sarai sicuramente emozionato.
Non vantati se tu hai un bel vestito che tua sorella ti ha fatto con l’abito smesso di tuo fratello, mentre altri vestono rattoppati, se tue calze e scarpe, mente alcuni sono a piedi nudi dentro gli zoccoli, se tu sei ben pulito e pettinato, mentre alcuni hanno unghie ed orecchie sporche; ci sono mamme sorelle sempre impegnate per il pane e trascurano i bimbi.
Io, mamma, so come comportarmi; per me sarà grosso impegno passare con loro i trimestri, e arrivare a giugno e finire l’anno = l’uditore ed andare a giocare nei grandi cortili fino a settembre per andare alla mia vera 1^ elementare.
E’ stato, mamma, un anno di bellissime prove: mi sono comportato bene; {come tu mi hai insegnato: ero il più piccolo di tutti e di tutti ho avuto rispetto e nessuno si è burlato di me: ho tanto giocato, corso, saltato ed ho fatto amicizia con bambini che hanno grandi cortili dove andrò a giocare durante l’estate; ho imparato tutte le cose che il maestro ha insegnato, ma non ho imparato a scrivere; ho imparato solo ad impugnare la cannuccia portapenna, ad intingere il pennino nell’inchiostro ed a scarabocchiare quaderni.
Non importa, bambino: io e papà siamo molto contenti di come ti sei comportato e riteniamo che tu possa godere di quella libertà responsabile che i tuoi fratelli godono in pieno. Non è più necessario che tu ci chieda permesso per andare dagli amici ma è sufficiente che tu ci dica dove vai e che ora torni a casa o se rimani a desinare a casa di amici come spesso ti succederà.
Sono felice, mamma, ho compiuto sei anni e voi mi considerate un omino, mi date la libertà di godere le vacanze a mio piacimento e subito ne approfitto e vado a conoscere la bravura di papà che modella un pezzo di ferro rovente, ed ascoltare la musica del martello sull’incudine; la bravura di Gustavo che pianta i raggi sul mozzo delle sue magnifiche ruote, e quella di Achille che filetta la verniciatura delle sue bellissime biroccone, e quella dei figli di n-v confezionano i più bei abiti, e quella di quella di altrettanti artigiani per capire dell’importanza del loro lavoro. Ultimato il doveroso ed istruttivo giro per sapere quanto è grande il servizio che gli artigiani prestano alla comunità.
Adesso vado a giocare allo stallaggio Severino dove la nonna Arpalice fa una minestra di riso e sedano tanto buono che mangio di gusto mentre quello fatto da te mi è immangiabile SI! Lo che il mio riso con sedano non ti piace, e allora, di nascosto di tuo padre, ti faccio un risottino al burro.
Prima elementare
Così arriva settembre e per me la mia vera 1^ elementare. E chissà quanta sarà la tua emozione quando entrerai in classe?? No, mamma, la vera emozione l’ho provata lo scorso anno quando vi sono entrato come uditore: mia sorella mi portato fino all’ingresso e mi sono trovato in un ambiente tutto nuovo e tutto grande; ero impacciato come un pulcino: Nicandro, il bidello, mi ha preso e mi ha chiesto chi sono, e mi ha portato nell’aula della prima elementare: c’erano tanti bambini, ma egli mi ha messo me all’ultimo banco da solo, lontano dagli atri e mi ha detto: tu starai qui fermo in silenzio, non parlare con nessuno e non disturberai.
Ero il più piccolo di tutti e conoscevo solo Balilla ed Ottorino. È arrivato il maestro e ha tuonato: in piedi, ha chiamato l’appello, ma non ha chiamato il mio nome. Io non ero suggestionato o intimorito, ma mi sono trovato in quello stato d’animo che non avevo mai trovato so so che era emozione. Quando è arrivata la ricreazione tutto è cambiato; ero ancora il più piccolo. Ma quello che sapeva giocare, correre, saltare e subito ero il più gande di tutti.
Mi sono ricordato, allora. Che quando avevo tre anni e mezzo, alla sera se io dormivo in braccio a te o sulla mano di papà, tu mi svegliavi per andare a letto e alla mia domanda hai risposto: io bambino, non ti mai impaurito con il Babao, l’orso cattivo il lupo mannaro, perchè non si deve avere paura delle cose che non esistono. ti porto a letto di faccio il segno della croce e ti do un bacio; tu devi sapere che sei al buio e che se ti svegli per un sogno cattivo, girati e fanne uno buono.
La paura è cosa buona se ci prepara ad affrontare l’ignoto o il pericolo, ma è cosa cattiva se si trasforma in terrore e ci mette alla mercè di qualsiasi evento. Se non avessimo nessuna paura saremmo degli incoscienti.
Con gli insegnamenti che tu mi hai dato mamma, io andrò alla 1^ tutto commosso e con tutto il rispetto per la scuola che assieme a voi genitori, educate noi i bambini e ci aiutati a diventare grandi. Nella mia classe sarò il più grande di tutti, imparerò tutto quello che verrà insegnato, a scrivere e aiuterò tutti che ne hanno bisogno. Sarà la mia buona 1^ elementare.
Quando, tu mamma, mi hai detto che con l’arrivo settembre avrei provato una grande emozione, ti ho risposto che le mie grandi emozioni, le ho provate quando a 5 anni sono entrato alla prima come uditore e quando precario sono andato al catechismo: di queste cose non vi ho mai parlato per non sempre vi inadempiente, ma ora che sono finite bene io ve le racconto.
Quando mia sorella mi ha portato all’ingresso della scuola, io mi sono trovato in un ambiente grande ed austero. Nei corridoi c’era molta gente, bambini, ragazzi ed adulti, ma nessuno badava a me, ero solo fra sconosciuti: non avevo paura nè suggestione, ma ero inquieto. Mi è venuto incontro un uomo e mi ha detto: <mi son Nicandro al bidel, ti set Remo??> ed ad un cenno mi ha preso e mi portato nell’aula della prima elemtare e mi ha messo nell’ultimo banco da \. Ad parli mimga solo e ha aggiunto < ti ad resti chi in silenzio con nessuno e non disturbare: Ero emozionato; molti scolari di sei anni erano già in classe; io, mamma. ero il più piccolo e tutti mi chiedevano, ma io non ho risposto a nessuno. Il maestro ha chiamato il silenzio e ha fatto la chiamata, ma non il mio nome. ero amareggiato.
Alla ricreazione, in cortile, io non ero più il piccolo, io sapevo giocare, correre saltare, ero grande come gli altri. Finito il gioco e rientrati in classe, il maestro ha insegnato ad impugnare il portapenne ad infilare il pennino, intingerlo del calamaio e tracciare delle gighe dritte sul quaderno a quadretti.
Due giorni dopo, mentre i ragazzi facevano le aste è venuto don Giuseppe Schibola e ha detto; voi ragazzi avete sei anni, l’età della Cresima. Mi sono alzato e ho chiesto: io che i sei anni li compio in gennaio, posso fare la Cresima?? Sentiro il Viario; intanto vieni al catechismo. Per tre trimestri già si insegnava l’abecedario, le vocali e consonanti e catechismo dove si imparavano cose sublimi. È stato un susseguirsi di gioie, godimenti e piacere di imparare cose belle, interessanti ed emozionanti.
Io, dice la mamma e tuo padre siamo soddisfatti di come ci esponi il piacere di avere imparato tante cose, e di piacere di averlo detto con parole dialettali di cui di cui fo ho esaminato nome, valore, significato e pronuncia: siamo soddisfatti anche perchè ….
Quello che hai detto si presta per un breve dialogo. Ma ciò non è sufficiente; tu, bambino, devi esaminare centinaia e centinaia di parole, le esaminerai tutte, di ognuna. Il nome è il valore, il significato e la pronuncia per dialogare anche con gli adulti; parlare, e anche litigare con tutti e sarai un bambino uomo.
Durante le vacanze andrò a giocare nei cortili degli amici e a settembre sarò pronto ad entrare nella mia vera 1^ elementare. Chissà che emozione?? Dice la mamma. No. Mamma, la vera emozione l’ho provata quando mia sorella mi ha portato all’ingresso della scuola. Adesso ci sarà molta gente, ma io scanso tutti vado dritto nella mia aula, prendo il primo sedile a destra dei prima di banchi alla sinistra; i fianco a me avrò sempre Diaz Gruppioni e dietro a me ragazzi di maggiore età che per impegni vari, non hanno fatto le elementari al giusto tempo; tutti gli altri bambini erano più piccoli di me, impauriti, mal tapinati, e alcuni con gli zoccoli, hanno segnalato l’arrivo della maestra, ho gridato <INPIEDI>; è entrata la maestra Dobrilla che sarà la nostra maestra per 5 anni.
I suoni
Nella lingua italiana l’insieme dell’alfabeto più breve e bello del mondo, perché in 26 segni, racchiude cinque vocali, 19 consonanti, il tutto completo per poter scrivere qualsiasi cosa. Mentre tutti gli altri alfabeti delle altre nazioni sono molto più lunghi.
Le vocali sono segni che hanno una voce propria, vocale significa che puoi pronunciare il suono, le consonanti non hanno nessun suono, quindi perché noi si possa dare nome e pronuncia ad una consonante serve accompagnarla al una vocale per poterla pronunciare. A seconda della vocale che accompagni, per esempio lettera B e C, si accoppia alla vocale ed assume un suono che dipende dalla vocale alla quale si è accompagnata.
La scrittura più bella del mondo perché non ci sono segni strani, ogni lettera viene sempre pronunciata come è scritta, senza malintesi. Ci sono due o tre magagne, sono quelle lettere che si accoppiano, la G di giacomo e la L di Liliana che può essere GLI come EGLI oppure GLI come glicerina. Poi per esempio la GN può diventare GNI esempi sono GNOMO che ha un suono diverso da …..MANGANO diventa un’altra cosa.
I numeri
Pitagora, quel tal filosofo che ci ha lasciato in eredità quella tavola pitagorica con la quale noi tutti abbiamo imparato a far di conto, 500 a.C. ha detto che i numeri li ha creati Dio e tutto il resto lo ha fatto l’uomo.
I numeri sono sempre esistiti anche se l’uomo se ne è accorto solo quando la sua mente ha cominciato a pensare. Per l’uomo primitivo è stato difficile distinguere fra l’una e le più cose, ma per comunicare ad altri la distinzione ha dovuto inventare il nome dei primi due o tre numeri.
Quando l’uomo ha ricevuto l’uso della ragione non viveva più in clan, ma si era organizzato in grandi gruppi, stati e nazioni, i numeri, le numerazioni e i sistemi, sono diventati tanto importanti da indurre ognuno ad elaborare una propria numerazione, sistema, grafia tanto varie da essere incompatibili fra di loro.
Anno 6.150. a.c. in fondo Mesopotamia, dove in India risiede la grande città stato degli Indiani, lo scrigno della sapienza. Da più secoli, gli indiani, per loro diletto, raccolgono tutte le informazioni per approfondire la loro conoscenza. Essi conoscevano tutti i sistemi numerici antichi e recenti, per cui era sufficiente trarre da quel coacervo, dei sistemi semplici validi per tutti e sono stati proposti:
– Sistema sessantesimale per le ore
– Sistema novantesimale per gli angoli
– Sistema decimale per contare
Gli indiani ponderarono per secoli le loro ricerche e quindi passarono il sistema decimale agli arabi per il suo perfezionamento. Essi hanno dato il nome e il valore di ciascun elemento la loro grafia ed il loro posizionamento, così, essi, lo hanno presentato. La serie 0.1.2.3.4.5.6.7.8.9. che noi chiamiamo numeri naturali o numeri arabi. Lo zero posto davanti all’1 non ha alcun valore mentre il valore di ciascun numero è neutro e non si aggiunge a quello della cosa a cui si riferisce. Il sistema sovra esposto, così come è, sono dette le <unità>.
Se dopo il 9 vi mettiamo l’1 seguito da zero 10 si hanno le <decine>, con due zeri 100 le <centinaia>, con tre zeri 1.000 le <migliaia> , ecc.
Se da un punto centrale facciamo partire due numerazioni a dex. e sinix .6.5.4.3.2.1*1.2.3.4.5.6……nella numerazione a destra i numeri sono positivi e quelli della numerazione a sinistra sono negativi. Essi sono pari e divisibili e indivisibili, ad una sola cifra <7> oppure a più cifre <3476> sono divisibili i numeri a più cifre che si possono, da altri oltre che da se stessi, sono indivisibili i numeri che si possono dividere solo da se stessi e sono detti <numeri primi>.
Con tutti i numeri, pari e dispari, positivi e negativi, a una o più cifre si possono eseguire le operazioni fondamentali dell’aritmetica elementare: somma, sottrazione, moltiplicazione e divisione, le quali sono le stesse della matematica superiore.
Se questi sono i numeri che noi usiamo quotidianamente per qualsiasi nostra attività. Nel conteggiare, nei dialoghi, nei racconti, nelle fiabe, nelle storielle, nelle cantilene, e nei giochi dei bambini e degli adulti, essi non sono indispensabili gli scambi.
Un tempo gli scambi avvenivano per baratto o per permuta e non servivano i numeri, oggi abbiamo i numeri e ci servono per lo scambio di ogni cosa, la cosa deve avere lo stesso valore ogni luogo, serve l’unificazione. Di questa unificazione, o unità di misura se ne è parlato per secoli senza trovare soluzioni soddisfacenti se non in qualche settore, nelle stesse condizioni erano tutti gli altri stati mentre il commercio internazionale continuava a crescere.
Alla fine del ‘700 è stato convocato a Parigi, un convegno internazionale, con i rappresentanti di tutti i paesi e tecnici specializzati per risolvere il problema delle unità di misura. Ne è sortita una asta di invar (materiale senza dilatazione termica), alla quale è stato dato il nome di <metro> da cui la sigla SMD, con i suoi multipli e sottomultipli, derivano tutte le unità di misura normali.
Il SMD è adottato da tutto il mondo con esclusione dei paesi già facenti parte dell’Impero britannico in cui vige il sistema Imperiale britannico ISB.
Con queste note ho finito di parlarvi dei numeri in modo certamente non degno di Pitagora, ma sufficiente per risvegliarvi la memoria di quello che imparato alla terza elementare.
La seconda elementare
Nella prima giornata arriva la maestra e con tutti i ragazzi si deve andare a messa, quindi non si fa niente. Nel pomeriggio, dopo che si è andati a messa, passando attraverso il cortile con gli alberi, la maestra illustra quello che è il suo metodo di insegnamento.
Al mattino farà lezione, secondo la lezione che è in programma, nel pomeriggio, uno dei ragazzi, ripeterà quello che la maestra ha raccontato al mattino, e lo racconterà alla sua maniera di raccontare, come è più o meno bravo, secondo il dialetto che parla. Perché tutti non parlano in italiano, parlano il dialetto che è stato un po’ raffinato. Tutti gli altri ragazzi sono tenuti ad ascoltare al mattino quello che ha detto la maestra ed al pomeriggio quello che ha detto il bambino.
Ad un certo punto qualcuno viene chiamato per essere interrogato, i ragazzi che ascoltano devono sempre essere pronti, perché possono sempre essere chiamati per una interrogazione, devono essere preparati per ascoltare con diligenza, perché il giorno dopo può essere uno di loro che va a raccontare e la maestra valuta la sua preparazione.
In questa maniera, alla mattina, io che sono al seggiolino li, a sinistra della prima fila, dò sempre “IN PIEDI”, il saluto alla maestra, la maestra è soddisfatta, mi guarda con simpatia, sa che io sono quello che è più capace degli altri, insieme a Giuanin Zopi, un altro che ha stessa capacità mia.
Giuanin Zopi: Non so cosa abbia fatto nella vita, Giuanin era agricoltore ed ha continuato a fare l’agricoltore, oltre non so cosa facesse, sonava qualcosa, qualche strumento, era uno che si interessava di cosa stranissime, per esempio del “sanscrito”, una lingua antica. Siamo stati amici, buoni amici, aveva un appezzamento di terreno ed io sono stato migliaia di volte a giocare a casa sua, non solo, ma c’era la tavola sempre a posto, la buona tavola, c’era sempre qualcosa di pronto.
La maestra ringraziava a tutti, faceva l’appello, ma lei conosceva già tutti, era molto bonaria, aiutava chi veramente aveva bisogno.
Nella seconda elementare si faceva la geometria ed i simboli, intendo figure geometriche regolari ed irregolari. Geometri, io per cavarmela, era difficilissimo spiegare la geometria, lo studio del terreno…un grande prato dal quale si deve ricavare una porzione di questo campo, per farne poi un orto, oppure per farne una coltivazione particolare, la recito tutto introno con un fossatello, che ci sia una recinzione, questa diventa una figura geometrica irregolare, perché tutti i lati vanno per conto loro. Mentre le figure regolari tutti i lati ed angoli uguali.
Nel secondo anno la maestra inizia a dire che purtroppo non ci sono più tanti ragazzi, perché sono emigrati, la famiglia, perché era l’epoca della grande migrazione, a causa della grande povertà. Tutto era dovuto alla povertà, vivevamo addirittura da secoli di povertà, ed era sempre peggiore ed eravamo sempre più poveri. Tanto che noi di Bergantino siamo in una posizione strana, con una popolazione che arriva a quasi quattromila abitanti, sono tanti, di fronte ad un terreno, come quello di adesso, ma molto più infelice, e molto meno redditizio, che non ti produce abbastanza per mangiare, quindi o si patisce la fame oppure si va a trovare da mangiare da altre parti.
E la maggior parte, appunto, emigravano, in Argentina, Brasile, Australia, quelli dell’Australia molto spesso non era una migrazione duratura, rimanevano tre o quattro anni, facevano qualche soldino a tagliare la canna da zucchero, ti pagavano bene ma erano fatiche da cani. Quindi pian pianino ci eravamo ridotti, all’inizio eravamo in sessanta ed alla fine, in terza, siamo arrivati in trenta.
La quarta elementare
La quarta elementare è una classe mista, ci sono ragazzi e ragazze, cosa nuova per me. Il numero ridotto dei bambini che frequentano, quindi i maestri hanno messo insieme per fare una classe.
Ci sono due ragazzine carine, simpatiche, io mi innamoro prima dell’una e poi dell’altra, ma non succede niente, finita l’annata, come se niente fosse.
La quinta elementare
È il quinto anno che invece mi innamoro veramente, di Caterina. Chi è questa Caterina? È una bellissima ragazza, dall’aspetto signorile, con un sorriso da incanto, è bella…ma io non riesco a dirglielo. Allora mi riprometto che durante il periodo delle vacanze andrò a giocare nel suo cortile, e li sono sicuro che qualcosa succederà, ma prima dell’esame, io mi trovo a Legnago. La mamma si è ammalata ed i miei genitori hanno deciso di portarmi a Legnago per evirare che mi ammalassi. Non l’ho più rivista.
Al mio riorno a Bergantino, la mamma era guarita, io ero stato promosso automaticamente all’esame e Caterina c’era più, si dissero che si era trasferita ma nessuno ha saputo dirmi dove.
L’estate a Legnago
Sono andato dallo zio prima di fare l’esame e ci sono rimasto una quarantina di giorni, e durante questi giorni ho fatto amicizia di questo Walter, che aveva un paio di anni meno di me, il quale aveva i suoi genitori avevano una specie di osteria, dove la gente andava a consumare la colazione, al mattino tutti gli operari destinati al zuccherificio, ed altre attività, ed io con loro, loro mangiavano la loro colazione e prendevano un bicchiere di vino, l’unica cosa che guadagnava l’oste era il bicchiere di vino. Era gente che si accontentava di poco, alla sera invece, durante il giorno, si andava, abbiamo detto, l’arrampicata del muro, in tutto la parte libera che dal viale principale fino all’argine, a sinistra c’era quasi tutti coperto da fabbricati, l’unica cosa che io ho saputo dopo, che all’inizio dei viali, in una casa isolata, dove non ci si arriva se non si voleva arrivare, c’era una casa di tolleranza.
Il giorno di ferragosto, che c’era un caldo tremendo, in casa dello zio c’è parecchia gente. la l’anguria ed il ghiaccio, tutto quello che serve per l’estate, si mangia la l’anguria e si beve il ghiaccio. Se non cè un pezzo del ghiaccio, anziché mettersi nella trachea di Walter è andato a finire dentro o bronchi, stava per soffocare, stava per morire, non nera capace di respirare. L’hanno girato con i piedi verso l’alto, lo hanno sconquassato e c’è voluto mezz’ora per liberarlo dal ghiaccio. Ed io ho continuato a mangiare l’anguria e ghiaccio.
IL GIRO AL MERCATO
Il giro del mercato. Il giorno dopo è mercoledì, mia madre, mi aveva dato venti centesimi perché al mercato io possa comprarmi due caramelle, ecco il valore del denaro, e come parto, da qui da casa nostra, mia madre sta già contrattando con una donna per comprare una gallina. Noi non avevamo nemmeno il pollaio, anzi, si c’era il pollaio ma non c’erano le galline.
Ed io vado avanti, e sono quasi dirimpetto (a sei anni ti ritengono già responsabile di andare da solo anche al mercato), al reparto dei buoi, e trovo uno li, un uomo: “vendete voi con questa mucca?, Si, e tu che cosa vuoi bambino? Io sono Remo Fabbri… Si, io la mucca non la voglio vendere, voglio permutarla, perché questa mucca mi fa 28 litri di latte (al giorno, adesso le mucche ne fanno oltre 30, forse 31/32 litri di latte al giorno, per quei tempi 28 litri di latte erano tantissimi),
La voglio permutare, i 28 litri di latte te li garantisco e voglio due mucche, con due mucche, io faccio nascere due vitelli i quali posso venderli ed ho dei vantaggi insomma… E gli altri vitelli? Quelli non è roba mia, quelli vanno al macello…sono lì ed attendono che qualcuno li prende per il macello. (devono essere macellati prima dei 18 mesi, ed erano spesso destinati alle città).
Poco più aventi c’era il mercato delle galline con le uova, c’era gente che veniva con i furgoni, comprava galline e uova le caricava e poi partiva a tutta marcia per portarle nelle loro città, chi a Verona, chi a Mantova chi a Bologna, a portare le galline ai rivenditori. Il mercato era al mercoledì, come oggi, io non so quanto sia stato istituito nel giorno di mercoledì, ma era già in uso quando c’era Austria che governava da questa parte, dove siamo comandavano gli Austriaci, fino alla terza guerra di indipendenza, quando ci sono anche i Francesi.
Sono andato avanti, vado di là, e sento che dicono “arriva l’orso!!!”, cosa è mai l’orso…allora c’è uno più grande di me, andiamo a vedere l’orso. Ci sei tu bambino?… allora abbiamo un uomo qui con me!! E tu chi sei? Mi chiamo Adolfo, ci siamo messi in file per vedere arrivare l’orso. C’era veramente un orso, lo scaricavano da un carrello e lui cominciava, piano piano, a girare attorno al recinto mentre gli artisti si mettevano a posto. C’era la ragazza che suonava il violino, suonava pezzi di operette, ed il ragazzo, probabilmente suo marito, che faceva il giocoliere.
Continuava a lanciare e riprendere oggetti, un giocoliere in sostanza, e quando lei suonava, per esempio, un pezzetto noto di cui c’era anche la canzone, lui la accompagnava con la canzone, il tutto durava una ventina di minuti, nel frattempo però, questo mio compagno di gioco, che ho detto che si chiamava Adolfo, intanto che l’orso girava, mi dice: “vedi questa figura di uomo che sta scendendo, lo chiamano “il ladar”. Era un tale che era salito dal basso veneto, dal basso fiume po’, con una barca, e faceva il mugnaio. Si era fermato tra Bergantino e Melara, e nel giro di qualche anno si è fatto ricco, perché dal grano che gli portavano da macinare si teneva il 14/15%, quindi in tre anni lui è proprietario di grano come gli altri agricoltori, era diventato più ricco di tutti, aveva rubato a tutti (di solito la percentuale che un mulino si teneva era del 2/3%, mulini a terra in quel tempo non ce n’erano).
Ed arriva questo “ladar”, quando arriva si appoggia alla parte esterna del circolo della gente che sta guardando lo spettacolo, e si muove di spalle e di gomito fino ad arrivare ad essere davanti a tutti, perché a li piace la musica. Dopo una ventina di minuti termina il loro programma e l’orso, con il suo cappello a cilindro tra le gambe inizia a fare il giro, ed ecco che tutta la gente da 20 centesimi, mezza lira. Lui invece pian pianino, questo tale che chiamano ladro, cerca di allontanarsi, ma tutti quelli che lo hanno lasciato passare ora vogliono che lui rimanga, che paghi anche lui, ma lui si divincola da tutte le parti e scappa via, e la gente si fa una grande risata.
In fondo alla piazza, dirimpetto al campanile grossomodo, un pochino spostato verso la chiesa, c’è il “furmaiar”, quello che vende i formaggi. Uno che viene dall’altra parte del fiume Po’, parla un dialetto che non si capisce quale sia, modenese, mantovano, parla un insieme di dialetti che si fa capire da tutti…e che grida ad alta voce ”che forte il mio furmai!! Il meo furmai è come il vin dei bottiglia, il meo formaio!!! Le donne a Poggiorusco si buttano dal terzo piano per venire a mangiare il mio formagio”” tò, prendine un pezzo e mangia, lui con il coltellino, dava gli assaggi alle persone.
E continuava su questa strada e lo sentivi. Allora io, con questo Adolfo, andiamo a vedere dove è andato a finire il ladar, andiamo fino a là, lui è proprio in mezzo a tutti gli altri appoggiato al banco del formaggio, ed ogni volta che arriva un pezzettino di formaggio sulla punta del coltello, chi lo prendeva? lo prendeva lui, fin quando il fumaiar dice: “di om, ve dico che ne’aghe magnado bastanza de formaio””, adesso vi do venti centesimi, per andare al bar a prendere un piccolo di vino, gli da quei venti centesimi, e lui quei venti centesimi, se li prende e li porta via, ma non va a prendere il vino per il furmaiar, se li porta con se.
Non ha amici, e se tu hai bisogno di lui, lui è la, se hai bisogno di soldi, lui ne ha fin che vuoi, se anche gli chiedi un paio di milioni, lui te li sfiolina davanti agli occhi e pretende il 14/15% di interessi.
Il fumaiar mi chiede chi sono, ah sei il figlio di Bepe Frar allora di devo dare un bel pezzi di formaggio, che ho pagato con i venti centesimi che avevo…
LA CRESIMA – 1926
Frequentavo la prima elementare come uditore quando un mattino è venuto don Giuseppe Shibuola per avvertire tutti i ragazzi che hanno compiti i sei anni faranno la cresima nella prossima primavera: anch’io, con l’assenso del vicario, farò la cresima nonostante che i sei anni li compia in gennaio.
Pertanto dalla prossima settimana fino alla terz’ultima settimana voi ragazzi e ragazze, alternati fra maschi e femmine, verrete all’oratorio per ascoltare gli altri bravi giovani il vostro catechismo, io sarò il vostro catechista.
È la prima volta che la Cresima è tutto e solo bergantinese ed è la prima volta che don Schibuol ne è incaricato. Tutti i paesani ne sono contenti e sono certi che l’avvento si tradurrà in un grande festa e le famiglie.
Dal pulpito, don Giuseppe, invita tutti i paesani a partecipare ed alle famiglie di non lesinare a spese ed agli abbienti a non essere taccagni. Don Schibuola ha dato ordini alle beghine che la pulizia sia fatta in ogni parte ed in ogni cosa con la massima cura.
A don Arcadio di preparare il posto per le 32 bambine a sinistra e per i 30 bambini con madrine e padrini nella navata traversale superiore, i banchi allineati trasversalmente con il posto per il coro sul lato sinistro, dietro le bambine e passaggio verso l’altare della madonna.
L’inizio della cerimonia è previsto per le ore nove della terza domenica di giugno, alle otto già molti fedeli sono in chiesa e alle otto e mezza, ci sono tutte le bambine in abito bianco e fiore al petto e i bambini in abiti classici.
Io vi arrivo con il mio padrino, mio fratello Rigo, dopo la mezza e subito si alza un vocio di stupore. Il mio vestito indossato dalla zia Maddalena non era classico di sartoria ma un casual, in contrasto.
Alle nove suona la campanella, si apre la porta grande ed entrano due chierchetti con candela accesa, la confraternita dei capanti, i chiericetti’, i sacerdoti della Vicaria e della curia. Don Schibuola e don arcadio ed in fine Emin. Mons. Anselmo Rizzi Vescovo. Il corteo procede sul tappeto rosso fra la entusiastica e gioiosa ammirazione dei fedeli.
Al sopralzo del transetto i chierichetti con le candele accese arrivano all’altare e le posano, i Capanti si fermano alle balaustre mentre il corteo arriva all’altare rivolto al Santissimo. Qui ognuno prende il proprio posto ed Vescovo, toltosi la mitra e passato il bastone saluta i fedeli ed implora la misericordia di Dio ed il perdono dei peccati.
Seguono letture, la cantica alla gloria di Dio, la santificazione del pane e del vino e la lettura del vangelo tutto cantato in latino.
All’omelia, i Capanti e i chierichetti si ritirano ed il Vescovo con don Schibuola salire al pulpito di salire al pulpito, è sceso in navata i mezzo noi bambini e ha detto: carissimi fratelli e sorelle, io oggi faccio e dico cose non previste dal regolamento, ma non posso dal farlo perché debbo pubblicamente lodare don Giuseppe Schibuola per modo con cui mi ricevuto e per aver adempiuto all’incarico con capacità e diligenza, per avere coinvolti i fedeli in questa grade festa.
È ciò che io volevo e ciò che sarà di esempio per tutte le parrocchie della diocesi. Perché’ voi fratelli e sorelle con silenziosa e gioiosa deferenza mi avete accolto e salutato come un fratello maggiore.
Perché’ sono qui per questi bambini, protagonista della festa. Io so, figlioli, che siete preparatissimi sulla Cresima-Conserv. Che i vostri catechisti vi hanno insegnato tutto e vi hanno ricordato che gli Apostoli. Per questo sacramento, ponevano le man ai battezzati perché conservassero l’amore, la fede e lo spirito santo ricevuti dal Battesimo.
Anch’io, con tutti i paramenti mitra ed il bastone, a fianco, seduto sul ciglio porgo le mani a ciascuno di voi conserverà’ le grazie ricevute con il Battesimo. Don Schibola mi indica, il bambino vestito in modo nuovo; ho visto e dico: è sobrio, bello ed elegante, farà moda. M non le fanno scandalo braccia e gambe nude con calzoncini al di sopra delle ginocchia?? No, il tempo passa.
Abbiate pazienza, perché la messa è lunga. Sarà fatta la santificazione, la glorificazione, l’assunzione e la distribuzione dei sacramenti; voi sarete per ultimi cresimati e dopo di voi con benedizione solenne finisce la cerimonia. Si riformerà il corteo che a ritroso ci riporterà in canonica.
Tutti i fedeli si riversano sul sagrato e complimentandosi fra di loro e chiedono chi ha fatto il mio casual…mia cognata Maddalena risponde la mamma, con due scampoli.
A nome di tutta la famiglia ringrazio tutti gli amici e lettori che hanno seguito i racconti e gli scritti del Nonno in questi anni.
Un abbraccio